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ASSAGGIO DEL VOLUME
- Good Morning, dottoressa Hicks.
- Come ha trascorso la notte adesso che si č trasferito nella sua abitazione definitiva?
- Bene, grazie.
- Meno male che ci siamo incontrati! Venga, le faccio vedere velocemente un paziente nel mio reparto. Ha un enorme tumore, credo che sia all’intestino. Gli dia un’occhiata! – la lady inglese con un lieve cenno mi chiede di seguirla e si avvia verso il reparto con passo assai veloce per la sua etŕ.
La seguo in silenzio. Conosco appena il mio nuovo ospedale qui in Africa, con i suoi padiglioni separati ma tutti uguali posti in doppia fila davanti alle palme. Ieri pomeriggio ero felice anche di essere riuscito a ritrovare il mio bungalow, che si trova nel perimetro dell’ospedale, ritornando dal poverissimo mercato di questa cittadina della Tanzania. Ho comprato poche cose e solo per cortesia, per non offendere la gente locale. Mi č passata la fame vedendo su polverose carte di giornale i pesci essiccati e schiacciati coperti dalle mosche. Anche la poca verdura appassita un europeo l’avrebbe gettata nella pattumiera. Dall’ospedale strade sterrate conducono al centro della cittŕ. Sono interessanti i profondi solchi che l’acqua incide nella terra rossa. Avevano previsto serie piogge torrenziali che ritorneranno, mi pare, in dicembre. Durante la mia passeggiata ho osservato che il valore delle cose č relativo. Le piante da camera che hanno gran valore in Ungheria e sono trattate con gran cura, qua vengono tagliate con i machete affinché non rovinino il terreno diserbato e spianato.
Nonostante sia presto splende il sole e fa caldissimo sulla piattaforma di cemento che collega i padiglioni. Davanti a me passa velocemente l’anziana signora. Il suo leggero vestito a fiori svolazza ogni volta che alza i piedi robusti. Ha fretta come sempre. Non puň aspettare nemmeno il giro di visite del mattino, vuole farmi vedere subito il suo nuovo paziente.
Entriamo nel padiglione di medicina interna. Davanti a me č la lady inglese. Č molto stimata ed amata dalla gente locale. Alcuni malati provano a toccarla pieni di speranza, alcuni la salutano con rispetto. La maggior parte dei pazienti non sa assolutamente nulla del mondo esterno: con i loro volti scavati agonizzano su coperte grigie; altri vomitano in bacinelle arrugginite, piegati in due per gli spasmi. Ci sono pazienti con orribili ferite putride, altri hanno gambe gonfie come gnomi. Parenti e pazienti mangiano insieme in misere ciotole di alluminio o solo sulla carta di giornale, seduti per terra. Afferrano e mangiano con le mani i fagioli oppure l’ugali, una specie di polenta bianca. Un uomo con una gamba sola appoggiato ad un bastone tenta di aiutare a bere un suo parente storpio in fondo al padiglione. Ho come l’impressione che uno spirito malvagio si sia impossessato di questo posto simile ad un dipinto di Bosch.
Anche un reparto di chirurgia in Africa puň essere spaventoso per uno straniero, ma quello di medicina lo č ancora di piů. Tutto emana fetore. I letti ammassati irregolarmente sono estremamente vicini e in disordine. Ci sono malati disperati dappertutto, anche per terra. Si possono trovare qui tutte le patologie. Nel reparto infettivo ci sono i lebbrosi ed in un altro reparto quelli che hanno la tubercolosi e sputano sangue? le rimanenti patologie sono tutte insieme. Devo sforzarmi di non manifestare il disgusto che provo nel vedere questa laida miseria.
La matura signora passa tra i letti con gli occhi sorridenti e tocca le mani di alcuni. L’unica infermiera che assiste almeno quaranta malati in questa lunga corsia, saluta con grande affetto la dottoressa. Si scambiano qualche parola gentile in swahili e la giovane infermiera di colore, come se fosse la figlia della signora, appoggia la sua testa sulla spalla della lady inglese. La signora abbraccia la testa della ragazza nera, poi entrambe si rivolgono a me e l’anziana mi dice felice in inglese:
- Le voglio bene. Non si stanca mai e viene sempre a lavorare!
Poi aggiunge:
- Vi siete giŕ incontrati?
Dico di no e la signora, che dirige l’intero ospedale, dŕ allegra la buona notizia all’infermiera:
- Č arrivato il nostro nuovo chirurgo, mister Tavasz! -, annuncia indicandomi -. Č ungherese, lavorerŕ con noi. Mister Tavasz, le presento l’infermiera Anusha -, e con entrambe le mani prende di nuovo le spalle della ragazza.
La ragazza dalla pelle uniformemente scura, un nero profondo, mi guarda con i suoi grandi occhi il cui bianco crea un grande contrasto con l’insieme. La sua prima domanda č:
- Per quanto tempo rimane?
Le rispondo con il mio stentato inglese:
- Sono arrivato una settimana fa e lavorerň qui per due anni.
- Ma non scapperŕ come il suo precedente? -, dice trattenendo a stento un risolino..